Qualche giorno fa in studio una paziente mi faceva questa domanda: “…ma all’agopuntura… quanto serve crederci?”. Ho già scritto in merito a questo aspetto ma penso non sia mai troppo cercare di fare chiarezza su questo argomento talora usato anche da colleghi medici e anche agopuntori in modo scorretto.
Se un paziente non crede che l’agopuntura possa giovargli non dovrebbe essere una scusa per dirgli che l’agopuntura a lui non potrà giovare e che perde solo del tempo. Eppure mi succede di sentirlo dire.
Potremmo mai dire che un antibiotico non serve se non siamo convinti di prenderlo?
L’antibiotico è un farmaco che segue un meccanismo chimico; l’agopuntura produce reazioni chimiche interne, ancora poco conosciute e calcolabili, ma è ormai riconosciuto da tutti che questo è il meccanismo finale di azione di un qualsiasi trattamento di agopuntura.
Non è indispensabile avere fede oppure un’idea romantica della vita ma è assai utile quando siamo in difficoltà e anche questo è noto a tutti. Lo diceva il filosofo Pascal: “Non hai niente da perdere nell’avere fede” e lo confermano numerosi studi scientifici, credere nell’efficacia di un farmaco si chiama effetto placebo e anche questo non nuoce a nessuno.
Non solo non nuoce: è più che evidente che è utile a noi stessi, perché il pensiero va nella direzione della guarigione e di nuovo questo meccanismo psichico si traduce poi in un corrispondente chimico ormonale e neurotrasmettitoriale che viaggia nel nostro organismo migliorando neurobiologicamente la salute in senso lato.
Aggiungerei che nel caso dell’agopuntura è come se al nostro trattamento, che inizialmente è un gesto fisico che si traduce in una attivazione energetica e poi successivamente chimica, aggiungessimo un potenziamento interno; una sorta di motorino acceso in più.
Guardando i miei pazienti durante il loro trattamento, ho pensato spesso sembra “una trasfusione di energia”, diventa facile capire che predisponendosi mentalmente a tale trattamento in modo corretto è come se alcuni la ricevessero goccia a goccia e con difficoltà, tipo un fuori vena, e altri fossero capaci di ricevere un flacone da un litro in mezz’ora.
Ecco che si potrà per alcuni pazienti volerci più pazienza e qualche seduta in più certamente.
In termini energetici e psicologici si parla di chiusura o apertura. E’ chiaro quindi che mettendosi sulla difensiva, ossia in chiusura, il dosaggio potrebbe essere insufficiente a dare il risultato desiderato ma questo non significa in nessun modo che non si possa generare un miglioramento ci vorrà solamente più tempo e più lavoro.
Dovremo lavorare in particolare sulla fiducia e sul rilassamento per migliorare la condizione di chiusura
In questi casi diventa fondamentale un lavoro specifico sia fisico che psichico, con l’aiuto di una parola in più, l’utilizzo di una respirazione volontaria, di specifici olii essenziali rilassanti e di molta attenzione e cura dell’ambiente. La musica adatta, la luce soffusa, la temperatura perfetta, così come la posizione migliore e il giusto tempo del trattamento.
Non è sempre facile avere tutto questo con prezzi accessibili ma ritengo valga la pena provarci.
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