Mi capita sempre più spesso di avere pazienti che mi chiedono non tanto se sono in grado di curare e migliorare una determinata patologia con l’agopuntura piuttosto che con la fitoterapia ma quanti casi come il loro io abbia già trattato e di questi quanti con successo.
In un mondo che vuole la medicina iperspecialistica, questa domanda sembrerebbe sensata; esiste il diabetologo, il dietologo, il neurologo specializzato solo sulla malattia di Parkinson, esistono poi centri specializzati su specifici disturbi o sindromi, come per esempio la vulvodinia o la fibromialgia, che sono il risultato di diverse problematiche interne che sfociano nei sintomi che poi ci permettono di porre le rispettive diagnosi.
Adoro il mio lavoro perché vedo un po’ di tutto tutti i giorni: anziani con dolori cronici, giovani con l’ansia da prestazione, donne che desiderano una maternità, emicranie, cefalee tensive, gastriti con reflusso, vampate da menopausa, insonnia, attacchi di panico, soggetti obesi con compulsione al cibo, cervicalgie e lombalgie come se piovesse (ovviamente, vista la nostra vita sedentaria).
Ci sono poi numerose patologie croniche come blefariti, cistiti e vaginiti ricorrenti, che sono molto meno comuni, la cui casistica per singola patologia non potrà ovviamente essere rilevante ai fini statistici, a meno che non si entri in contatto con uno specialista ginecologo, andrologo o oculista che in piena fiducia e desiderio di fare stare meglio i suoi pazienti non ci invii sistematicamente i suoi pazienti.
Purtroppo siamo ancora lontani da questa possibilità di utilizzo delle medicine complementari come il nome suggerirebbe. E’ più frequente che gli specialisti neghino la possibilità di una cura alternativa utile e solo nel migliore dei casi non si oppongano ad essa. Spetta quasi sempre al paziente fare la sua scelta. Ecco che per il medesimo disturbo come una blefarite diventa difficile avere una casistica ampia e numerosa di casi trattati con l’agopuntura e la fitoterapia cinese.
Il meccanismo poi con il quale si instaura una patologia cronica è del tutto indipendente dal distretto fisico in cui si manifesta. I principi diagnostici della medicina cinese si applicano a tutto l’organismo nel suo insieme. Non vi è in realtà una parte indipendente rispetto a un’altra.
Il corpo è sempre considerato nel suo insieme, ogni organo è visto come facente parte di un sistema collegato e integrato. Non solo nel senso di corpo mente ma nel senso che ogni segmento del corpo appartiene per così dire a una famiglia e conosce legami precisi di parentela con qualsiasi altro segmento corporeo.
L’infiammazione è il comune denominatore di un numero elevatissimo di patologie croniche ma l’infiammazione cronica non si cura con gli antinfiammatori, al massimo si contiene con gli antinfiammatori.
L’agopuntura e la fitoterapia riescono a lavorare non solo sui sintomi ma sulla radice del disturbo infiammatorio, significa nel caso per esempio della blefarite che non solo si riduce l’infiammazione delle ghiandoline localizzate nelle palpebre e quindi i sintomi correlati, come il rossore e la secchezza oculare ma la causa che ne alimenta l’infiammazione sottostante.
Quanti pazienti ho avuto con questo specifico problema non è la domanda veramente importante quello che è davvero indispensabile è capire il perché un tipo di terapia può risolvere un disturbo cronico e perché un altro tipo di terapia non potrà mai risolverlo.
Le patologie croniche sono per chiunque le più difficili da curare e il successo dipende da molti fattori. Tra un paziente e l’altro esiste una diversità enorme non tanto dei sintomi o della diagnosi. E’ il paziente con tutte le sue componenti a essere diverso. Curare un disturbo cronico è una lunghissima strada, che richiede impegno e determinazione da parte di chi si fa curare e da parte di chi cura.
Non è facile come prendere una pastiglia oppure applicare delle gocce oculari. Devo dirlo: è davvero complicato. Si tratta di scavare un po’ come ha fatto il conte di Montecristo nel romanzo di Dumas. Ci sono dei momenti in cui sembra tutto vano e il paziente si fa prendere dallo sconforto. Vorrei dire che è dura anche per noi sostenere il paziente in questi momenti difficili.
Alcune patologie croniche si comportano esattamente come la brace: apparentemente innocue e spente in superficie, sotto restano ardenti e pronte a ridare una fiammata alla più piccola debolezza.
Il lavoro è comunque un lavoro a due, chiamiamola pure “alleanza terapeutica” ed è fatta di fiducia e di sudore della fronte. Quando infine il paziente inizia a capire che la strada intrapresa è quella giusta, ecco che le domande inutili spariscono, “quanto tempo ancora?” “ma riuscirò a guarire?” “ma lei è sicura che starò meglio?” “quanti come me hanno avuto successo?” e ovviamente “quanti con il mio preciso disturbo hanno avuto beneficio?”
E’ allora che il vero dialogo inizia, un dialogo interno non fatto di parole inutili, ma quello dialogo tra destra e sinistra, alto e basso, dentro e fuori, tra quello che sono e quello che non sono.
Ogni incontro può diventare un sollievo, una sorta di unguento non solo per il corpo ma anche per la mente.