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Agopuntura: peccato non farla

Molti pazienti arrivano a visita con disturbi e patologie presenti da un numero molto elevati di anni, talora oltre i 10, alcune volte anche da 20 o 30.

La visita è spesso molto lunga e impegnativa, perchè ai disturbi cardine si associano di solito altre problematiche e la raccolta anamnestica della storia clinica, delle varie e molteplici cure intraprese e la lista dei numerosi  esami eseguiti sembra infinita. Tuttavia si percepisce nel paziente come la sensazione di essere approdati ad una possibilità di cambiare finalmente le cose anche in modo definitivo.

Sono proprio questi pazienti che inspiegabilmente molto spesso rinunciano alla terapia  prima ancora di averla intrapresa.  Alla visita si definiscono pronti a tutto e decisi ad affrontare il problema con serietà. Il metodo e il professionista gli sono congeniali eppure senza un apparente motivazione che ne giustifichi l’arresto, si fermano.

Dopo le prime tre sedute, ma talora anche dopo la prima, pur percependo da subito piccoli o grandi miglioramenti, cominciano a chiedere quante altre volte dovranno venire e poi, rapidamente, smettono del tutto di curarsi: le loro priorità sono altre e non è possibile chieder loro di andare avanti.

Anni fa ci restavo quasi male, mi sentivo come defraudata da qualcosa:. Lo chiamavo “consumismo terapeutico”: l’antidolorifico per il dolore, l’ansiolitico per l’ansia, l’ipnotico per dormire, l’antiemetico per la nausea, l’antidiarroico per la diarrea. Siamo abituati a prendere un farmaco per togliere un sintomo senza preoccuparci minimamente del perchè questo si genera e di come evitarlo; semplicemente lo togliamo. Ovviamente il più delle volte senza nessuna risoluzione del problema che l’ha causato.

La maggior parte delle persone è abituata a consumare medicine e farmaci con grande leggerezza e senza farsi troppe domande. Questo produce un risultato negativo nei confronti del modo di curarsi. Ma in realtà è molto più di questo: è rinunciare alla possibilità di liberarsi dalla schiavitù della malattia.

Forse è la paura di non riuscire che prende il sopravvento oppure una sorta di accettazione del proprio star male come fosse una punizione o come se non si meritasse o potesse ambire a stare meglio. Manca la forza per andare avanti, la decisione di partenza viene a mancare. Si abbandona la battaglia dopo aver radunato l’armata e le armi anche se la forza del nemico è contrastabile e la vittoria potenzialmente in tasca.

Oggi, dopo anni di lavoro, non lo considero più un mio fallimento, ma un peccato. Un peccato nel vero senso della parola e non nel senso attribuito dalla morale. Un peccato è una possibilità non sfruttata; nessuna colpa, ne da parte del paziente ne da parte del medico, solo… peccato non aver provato.

Ormai riconosco la tipologia del paziente anche dalla prima visita e sono arrivata a dire a queste persone che è meglio per loro non iniziare neppure se non hanno veramente deciso di partire e di mantenere la rotta.

Questo per tre motivi: il primo è economico, ovvero il paziente che interrompe subito o troppo velocemente il trattamento perde altrettanto velocemente i benefici acquisiti oppure non li raggiunge affatto e spreca il suo tempo e il suo denaro,

Il secondo è di ordine idealistico: perdere i benefici velocemente o non averne affatto mina la fiducia nella terapia e nel terapeuta: un atteggiamento che deve iniziare a cambiare nel paziente se vuole ottenere qualunque risultato, qualunque tecnica si utilizzi.

Il terzo motivo è che, se il disturbo è molto acuto o profondamente radicato, è come decidere di partire in barca con il mare mosso; si può fare, anche se richiede molta energia per contrastare  la forza delle onde e della corrente. In questo caso però, mollare dopo i primi sforzi può essere addirittura causa di un peggioramento momentaneo dei sintomi; è come se la barca venisse travolta dalle onde e riportata bruscamente alla riva dalla mareggiata infuriata.

Ritengo che anche in questi casi sia giusto e corretto avvisare il paziente prima di iniziare, anche a rischio di non trattarlo nemmeno una volta, proteggendo così la persona ma anche l’agopuntura come tale e non solo il proprio portafoglio.

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