E’ frequente osservare che in seguito ad un trauma acuto senza lesioni tessutali, il dolore percepito dal soggetto in questione, per lo più causato dalla presenza di un ematoma spesso interno, è responsabile di una sorta di isolamento della parte traumatizzata.
E’ come se la nostra macchina corpo, una volta percepito un possibile danno strutturale, avesse abbassato le paratie per salvare l’intera nave.
Questo meccanismo di isolamento produce in prima istanza un totale o parziale evitamento di numerose manovre fisiche che possono coinvolgere la parte colpita dal trauma.
Dal punto di vista mentale esiste poi una fitta protezione volta a non percepire dolore fisico. In sostanza si crea un marcato rallentamento della circolazione sanguigna, e quindi energetica, in corrispondenza della parte danneggiata con rallentamento della guarigione.
Questo meccanismo ha una partenza prevalentemente mentale e nasce per lo più dalla paura di sentire dolore, questa è molto ridotta negli animali, limitata nei soggetti forti e sicuri e molto più marcata nei soggetti ansiosi, insicuri e timorosi.
Ecco che lo stesso trauma, lo stesso intervento chirurgico, avranno un impatto completamente diverso non solo perchè è diversa la struttura fisica traumatizzata, ma lo è anche la struttura mentale di protezione messa in campo.
Ecco perchè in riabilitazione non è importante solo il cosiddetto “potenziale fisico”, che chiaramente considera la differenza tra il tessuto osseo di un giovane e quello di un soggetto anziano, tra il recupero di un soggetto sano e il recupero di un paziente con patologie metaboliche e ovviamente tra il recupero di un soggetto allenato fisicamente rispetto ad un soggetto che non ha mai eseguito attività motoria.
Il potenziale di salute dipende certo dal fisico e dal potenziale fisico residuo al danno, ovvero dall’entità del trauma, ma dipende altresì fortemente dalle motivazioni alla guarigione, dalla personalità e dal vissuto del paziente oltre che dall’ambiente che lo circonda e che può da un lato stimolarlo oppure imprigionarlo in una gabbia iperprotettiva con perdita dell’autosufficienza prima e dell’autonomia successivamente.
Molti non conoscono la differenza tra questi due termini. Una differenza puramente riabilitativa e Morosiniana; la perdita dell’autosufficienza significa aver bisogno di un ausilio o un aiuto ma parte dal concetto che mentalmente siamo noi a decidere cosa e come fare; la perdita dell’autonomia è non solo la difficoltà fisica o tecnica ma anche mentale di sostenere una scelta o una decisione.
L’atteggiamento iperprotettivo messo solitamente in campo dai parenti prossimi tende a portare il paziente ancora una volta all’evitamento della fatica e del dolore e quindi al rallentamento del recupero e non alla sua massima potenzialità di recupero.
Estendendo questo concetto ai dolori muscolotensivi su base posturale, emotiva e da microtraumi ripetuti ed infine da traumi veri e propri, possiamo capire come con il passare degli anni, in assenza di una volontà di mantenersi elasticici ed attenti ai diversi distretti corporei, possano generarsi rigidità articolari multiple e una graduale, ma inesorabile, riduzione delle prestazioni fisiche richieste.
Non saper trovare il tempo da dedicare al nostro corpo per lavorare sui nostri dolori e sulle nostre rigidità articolari è il primo passo verso l’invecchiamento. Non dobbiamo accontentarci della salute del resto della nave e chiudere le paratie sul dolore ovunque esso sia. Dobbiamo essere e cercare di restare per quanto possibile resistenti e flessibili come il bambù, in tutti i distretti del nostro corpo e l’unico modo per realizzare questo, è lavorare e disciplinare corpo e mente a sentirsi ed essere tali e quando necessario ricorre a medici e terapisti specialisti del settore.