Lo chiamo così. E’ quella forma di errore che a volte si manifesta nella memoria.
Avete presente quando si esce dall’ufficio e non ci ricordiamo dove abbiamo parcheggiato la macchina? Ecco, quello è un esempio di quello che intendo con questo termine.
Noi ripetiamo alcune azioni decine di volte al mese, più o meno sempre uguali, ma con differenze più o meno sottili tra una volta e l’altra.
Nel caso dell’esempio riportato, l’auto non viene parcheggiata sempre nello stesso punto. Quasi ogni volta la dobbiamo mettere in un posto diverso (e quanti moccoli ogni volta per trovare un parcheggio!).
Ma gli atti che ripetiamo sono sempre della stessa “categoria”.
Allo stesso modo in cui un movimento ripetuto un numero sufficiente di volte diventa meccanico, ovvero eseguibile senza doverci pensare, anche una serie di movimenti, se ripetuta in modo più o meno uguale per un certo numero di volte, finisce per essere eseguita senza la necessaria attenzione.
Parcheggiare un’auto è un’operazione impegnativa ma quando la eseguiamo tutte le mattine per andare nello stesso posto, ci porta ad una sorta di “disattenzione”, una meccanicità che investe quasi sempre i processi cognitivi.
Ecco allora che prestiamo attenzione di sfuggita al punto in cui siamo, al lato della strada in cui abbiamo parcheggiato e alla posizione della nostra auto lungo il marciapiede.
Ed è in quei momenti che può scattare il cortocircuito. Il processo di memorizzazione, non più supportato dall’interesse e dall’attenzione, va per così dire in tilt, e invece di usare i dati reali, quello che ci sta accadendo in quel momento, usa dati di repertorio, sostituendo alla realtà di quel momento il ricordo di un altro molto simile.
Ed è a quel punto che quando usciamo dall’ufficio la sera, ricordiamo di avere messo la macchina in almeno cinque punti diversi, ovviamente tutti di altri giorni, fino a quando arriviamo alla fatidica domanda:
“Ma dove cavolo ho messo la macchina stamattina?” E a quel punto realizziamo che l’informazione sulla locazione dell’auto è persa e iniziamo a cercarla lungo la strada.
Ed è solo dopo parecchi minuti, parolacce e paura (“Me l’hanno rubata”, “Me l’hanno rimossa i vigili”…) che finalmente la vediamo lì dove l’avevamo lasciata e il flusso di ricordi, fino a quel momento prigionieri di quella sorta di “cortocircuito” cognitivo, si libera.
Il giorno dopo, ovviamente, siamo punto e daccapo.