Alcune volte capita di incrociare persone di grande valore e non accorgerci minimamente della loro presenza; sono a fianco a noi e non li notiamo neanche.
Ci si aspetta che un maestro di agopuntura degno di questo nome abbia gli occhi a mandorla, una bella barba bianca e dispensi perle di saggezza a destra e a manca, mantenendo un tono e un atteggiamento di sempiterna moderazione e pacatezza. Ma l’apparenza spesso inganna.
Tutti sanno che anticamente, molti maestri si celavano dietro comportamenti o sembianze atipiche, ma soprattutto non parlavano molto e non davano molte spiegazioni filosofiche, per lo più facevano praticare moltissimo anche cose che apparentemente non sembravano essere collegate. La comprensione arrivava con la pratica da dentro, per insight. Vi ricordate il simpatico film Karate Kid… “dai la cera, togli la cera” avete presente?
Sembrava il più superficiale dei docenti del corso di agopuntura. Quello che se la tirava di meno da guru e che a molte domande rispondeva semplicemente “non so esattamente spiegare come e perchè, le possibilità possono essere molteplici, ma secondo la mia esperienza questo sistema funziona molto bene”.
Quello che, ridendo e scherzando, ti dava sempre una risposta pratica alle domande e non una serie di filosofiche spiegazioni inconcludenti ma intellettualmente soddisfacenti.
Quello che alla fine del primo anno di corso, dava il consiglio profondamente superficiale di iniziare a pungere anche se non era ancora conseguita una completa capacità di ricordare i singoli punti e la loro azione, “praticate lo stesso e magari andate a sfogliare il libro di nascosto” .
Ci ero cascata anche io, non avevo capito che questa apparente superficialità nascondeva uno spessore e una visione d’insieme estremamente profonda, data da una maturata esperienza di anni di fervida e seria attività sul campo.
Anche se non capivo ancora, io l’ho seguito quel consiglio, assolutamente non condiviso dalla maggioranza della classe che ancora oggi dopo anni dal conseguimento del diploma finale e il soggiorno in Cina, tratta con l’agopuntura i loro parenti e al massimo 5-10 pazienti alla settimana nel tempo libero dalla loro attività di base.
Alla fine del primo anno di corso di agopuntura ho chiesto il part time e alla fine del quarto anno di corso il licenziamento dalla struttura pubblica dove lavoravo. Adesso lavoro solo con l’agopuntura e la medicina cinese e posso dedicarmi interamente alla pratica e allo studio di questa disciplina, senza comunque rinnegare le conoscenze acquisite dalla nostra medicina in campo generale, fisiatrico e chinesiologico.
Se doveste scegliere un chirurgo scegliereste uno che opera nel tempo libero o uno che opera dalla mattina alla sera?
Il Dott. Giulio Picozzi studia e pratica l’agopuntura da oltre 25 anni, la sua esperienza come agopuntore, data appunto dall’attività professsionale interamente dedicata, è talmente estesa che non è paragonabile a quella di nessun altro agopuntore Italiano che io conosca. Solo all’estero è facile trovare medici il cui lavoro è totalmente dedicato all’agopuntura e alle medicine non convenzionali.
Inoltre anche se docente di agopuntura da non so quanti anni, continua a frequentare corsi di approfondimento all’estero arricchendo continuamente la sua pratica, ormai andata oltre gli schemi canonici di agopuntura classica, ma decisamente efficace nel trattamento sia del dolore, che di molte patologie.
Un grazie quindi, un grazie di cuore, per avermi indicato la strada da seguire. Per avermi condotta a quella semplicità che ti permette di sbrogliare le matasse anche più intricate, partendo semplicemente da quello che è più grossolano per poi raffinare solo in seconda e terza istanza.
Ecco da dove viene il nome di questo blog; Uno Due Tre: sono tre passaggi fondamentali, una meravigliosa sintesi, non solo di un metodo terapeutico, ma anche di un modo di affrontare la vita; con serietà e impegno ma anche con estrema leggerezza.
11 Comments
Ars est celare artem già Aristotele suggeriva.La vera arte sta nel nascondere l’arte stessa, e lo sforzo per produrla! Saper fare consiste in un agio mai forzato, nella naturalezza e scioltezza dei modi, in un rispetto mai convenzionale della Tradizione, anzi sempre disposto a fletterla e a flettersi secondo l’opportunità,la circostanza, l’occasione. Solo i bambini e i semplici non sono capaci di apprezzare l’arte che cela la propria sofisticatezza sotto un apparente semplicità. Come esiste “lo sprezzo del pericolo” così si sprezza l’arte, l’abilità,l’ostentazione. Si sprezza una situazione pericolosa, non tralasciandola ma impedendo che essa condizioni il nostro comportamento e incida sulle nostre azioni rendendole rigide, pompose o ricche di apprensione.In oriente esiste un analogo è il concetto di Iki della cultura Giapponese che tanto permea l’arte di questo paese. Difficile tradurlo, originariamente Iki significava “disposizione d’animo”, “sentimento”, “coraggio” poi è venuto a significare “bravura,energia” e quindi “sobriamente elegante e raffinato ma senza ostentazione” . Brava Cathe riconoscere le capacità ed avere la giusta disposizione ad imparare è un arte…buon cammino profondamente superficiale
Aristotele era notoriamente un pirla! Nascondere l’arte significa ucciderla, ma ti do ragione sulla necessita’ di nascondere lo sforzo di produrla: nullo sarebbe infatti il gesto del ballerino ad esempio, se la minima tensione ne interrompesse l’artistico fluire, mostrando lo sforzo necessario a produrlo; naturalezza e scioltezza d’altronde sono conseguenti ad una raggiunta maestria del gesto, che a sua volta puo’ sgorgare solo dalla padronanza del principio che lo produce.
Non concordo invece sul fatto che bambini e semplici possano apprezzare quanto dici (immagino che il “non” sia sfuggito involontariamente, altrimenti colgo una leggera contraddizione). Questa cosa mi ricorda qualche evangelica contaminazione… di fatto bambini e semplici non apprezzano: semplicemente non oppongono infrastrutture preconcette, e pertanto sembrano apprezzare. Al piu’, semplicemente godono, nel modo appunto più semplice possibile.
Personalmente, e qui ritengo concorderai, penso che solo una sensibilita’ raffinata ed educata all’osservazione possa realmente “apprezzare”. Di fatto, ritengo che l’arte di imparare sia un’arte tale quale quella di trasmettere senza che nessuno se ne accorga: Mushotoku, “agire senza scopo”, l’ultima vittoria.
Il fatto che si debba arrivare a Copernico per apportare qualcosa di nuovo al pensiero aristotelico, che lo stesso sia alla base di tutta la cultura di un continente e mezzo, che l’arte filo-drammatica tutt’oggi si basi sul suo pensiero ed altre considerazioni mi fanno sorgere il dubbio che la notorietà del giudizio espresso su Aristotele sia quanto meno discutibile. In più è evidente la contraddizione dell’opinione di Oni (scusa, abbrevio). Se Mushotoku viene valutata come un’importante conquista e consiste nell’agire senza uno scopo, Se si definisce arte il trasmettere senza che nessuno se ne accorga, non mi è chiaro come nascondere l’arte possa essere pari ad ucciderla. Attendo delucidazioni. grazie. Buon pomeriggio.
Parmi tu abbia fatto una leggera confusione, o hai tentato il transitivo?
Dunque… per la sintesi: senza che nessuno si accorga della trasmissione. Non dell’arte nel farlo.
Buon pomeriggio a te.
Questo battibecco intelletuale mi lascia senza parole! credo che entrambi la pensiate nello stesso modo. Certo il peso della scelta delle parole ha e deve rivestire la sua importanza per poter essere chiari e non creare confusione. Ma la capacità di intuire, la capacità di imparare presuppone proprio la capacità di cogliere il nuovo e anche il diverso dal nostro comune pensiero e non si sofferma sulle singole parole ma sul contenuto nel suo insieme. Vi ringrazio comunque, perchè i vostri commenti mi stimolano i circuiti cerebrali, quelli che appunto tendono ad impigrirsi.
cathe
Si, bene, hai omesso una risposta su Aristotele, ma in compenso hai ragione sulla mia confusione… Dunque tu dici: trasmettere senza che il ricevente si accorga del fatto che tu trasmetta è un arte. Ho capito bene? Però a questo punto ti chiedo nuovamente: se agire senza scopo viene considerata una vittoria e, mi permetto di desumere, perciò un atto positivo, come fa a stare insieme questa concezione con l’idea che nascondere (o meglio, celare) l’arte corrisponda ad ucciderla? Quest’ultima non è forse fare qualcosa (arte) senza essere legati allo scopo (mostrarla)? In più, secondo te, l’artista crea un’opera per comunicare, trasmettere e condividere un sentire profondo oppure può creare anche per necessità quasi fisica di estrarre dal suo profondo qualcosa come chi si toglie una spina? Cathe, i miei complimenti per il bel blog. Comunque io trovo splendido “ribaltare le parole, invertire il senso fino allo sputo” e girarci intorno e scavarne i significati… Ad alcuni tedia.
Ciao,
un po di tempo fa avevo letto un libro di shudo denmei, un agopuntore giapponese, “punti efficaci in agopuntura”.
Una cosa interessante ,narrata in questo libro, era come ogni settimana diversi agopuntori giapponesi si ritrovassero per raffinare la sensibilità e la ricerca dei punti di agopuntura, cercando i punti attivi.
L’ho trovato un libro molto bello, dove traspare molto l’esperienza, la personalità e gli aneddotti del suo lavoro.
Un libro raro rispetto ad altri testi di agopuntura che oramai sembrano diventati dei meri atlanti di localizzazione dei punti.
Condivido pienamente il libro è davvero ben fatto e assolutamente superiore alla media dei libri italiani sull’argomento.
Si anche a me piace molto quel libro. E’ un peccato che molti testi di agopuntura e moxa giapponese non siano stati mai tradotti in italiano. e molti a dire la verità neanche in inglese.
Adoro molto l’approccio che hanno i giapponesi verso l’agopuntura rispetto ai cinesi. Sono molto più pratici e perdono meno tempo in elucubrazioni mentali.
Un paio di anni fa era uscito anche un bel testo di cui non ricordo l’editore dedicato proprio esplicitamente alal storia della medicina giapponese e di come avessero integrato velocemente le conoscenze dell’anatomia occidentale con quelle della medicina cinese.
Magari un bel post di approfondimento tra i 2 punti di vista cinese e giapponese sarebbe carino da approfondire
Francesco
Incuriosito dai commenti sono andato a cercarlo. Mi pareva di averlo nella mia biblioteca. La traduzione è dello stesso Giulio Picozzi che viene citato nell’articolo o è solo un curioso caso di omonimia?
Si la traduzione del libro di Shudo Denmei è stata curata dallo stesso Giulio Picozzi di cui faccio riferimento nel mio articolo.
Visto che i miei lettori sono del settore proverò a chiederli se vuole scrivere lui qualcosa di specifico in merito all’agopuntura cinese e giapponese.